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FANTASMA D'AMORE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 aprile 1981
 
di Dino Risi, con Marcello Mastroianni, Romy Schneider (Italia - Francia, 1981)
 

Fino a poco tempo fa si discuteva se e perché la commedia brillante italiana stesse diventando sempre meno comica, e sempre più seria. Il discorso è ormai superato, e quest'ultima opera dell'autore del SORPASSO e dei MOSTRI ne è la prova eloquente: Fantasma d'amore è un film dal quale le notazioni umoristiche sono ormai del tutto assenti, un'opera riflessiva e malinconica per non dire accorata e pessimista.

Ambientata in una Pavia invernale, sfumata nelle nebbie, dai selciati bagnati (un quadro che Tonino delli Colli non perde l'occasione di fotografare con grande sapienza) è la storia di un borghesissimo commercialista, sposato senza entusiasmi ad una signora più anziana di lui, e presidentessa dei vari circoli locali. Un giorno qualunque riappare a quest'uomo qualunque un fantasma del passato, la giovane donna ch'egli aveva amato appassionatamente molti anni prima. Fantasma o essere in carne ed ossa è appunto l'interrogativo posto agli spettatori. E che nemmeno la fine del film svelerà. Lasciandoci in quel dubbio, giustamente in bilico fra fantasia e realtà, nel quale il regista ha voluto proiettarci.

Per chi ricorda uno dei film più affascinanti (e sfortunati commercialmente) di Risi, ANIMA PERSA, la sorpresa per queste atmosfere metafisiche sarà relativa. Come anche in questo Fantasma d'amore, allora al regista non interessava tanto il mistero, il suspense. Il film era stato lanciato come un thriller ma in effetti era un viaggio nell'animo dei personaggi, alla ricerca di una follia che era soprattutto solitudine e disperazione.

Risi, che ha fatto studi di medicina e si era specializzato in psichiatria, aveva descritto un caso di schizofrenia. Ma con l'aiuto di Gassman, che riusciva una delle trasformazioni più straordinarie della propria carriera, mutava il tutto in una riflessione sulle apparenze della realtà, sui confini difficili che separano il mondo della memoria da quello della constatazione. E, vicino come mai ai propri personaggi, esprimeva per loro una pietà che finiva col risultare la componente fondamentale del film.

In questo senso, con ogni probabilità, è nata l'idea di questo Fantasma d'amore. Ancora una volta, nella prima parte del film, Risi fa leva sulla sorpresa che causa nello spettatore l'irruzione del fantastico, del grottesco nel quotidiano. Da quel momento le apparenze sono rimesse in questione: Marcello Mastroianni, che racconta in prima persona la sua disavventura non saprà mai se la Romy Schneider che gli si presenta sotto diverse spoglie, è viva o morta, ricordo o presenza di un amore, di un istante di grazia e di verità che egli credeva ormai smarrito.

I due mondi tendono a confondersi sempre di più (e gli accenni alla parapsicologia, impersonata da un prete misterioso e un po' diabolico, è una delle parti più ovvie, e quindi evidenti, e quindi negative all'economia di un film tutto basato sull'incerto, sull'immateriale) in una visione dalle finalità non sempre evidentissime. A Risi i problemi dell'aldilà interessano, come risulta da quanto dichiarava ad Aldo Tassone nella bella raccolta di interviste e di riflessioni coi cineasti italiani (Parla il cinema italiano, Ed. Il Formichiere):

"Immagino l'aldilà come un altro aldiquà... si, sono convinto che in un modo o nell'altro si torna a vivere. Il giorno in cui finisce la nostra presenza, la nostra testimonianza in questo mondo, bisogna pure che ci sia offerta un'altra occasione, no?"

Fantasma d'amore traduce in parte il riflesso di queste preoccupazioni. Ma quello che avrebbe potuto essere soprattutto una testimonianza sensibile delle illusioni dell'uomo, della fragilità dei suoi proponimenti, dell'ambiguità delle sue certezze, si trasforma sovente in un giochetto un po' tortuoso che sembra avere per solo scopo quello di voler confondere le idee agli spettatori. Sovrimpressioni ed alchimie figurative che vengono a turbare l'unità della bella atmosfera padana, telefoni che squillano anche quando la spina è staccata, cadaveri inghiottiti dai flussi con graziose giravolte, infermiere che cambiano aspetto sotto i nostri occhi arrischiano troppo spesso di rompere l'incanto. Bisognava avere il coraggio di andare fino in fondo, e svelare un mistero che non avrebbe intaccato i dubbi più reconditi: far finire il povero Mastroianni in manicomio sa troppo di convenienza: il sistema più pratico per giustificare le giravolte più disinvolte di una sceneggiatura non proprio rigorosa.


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